Aiutare altre persone a ottenere risultati. Ecco perché…
Aiutare altre persone a ottenere risultati. Ecco perché…

Aiutare altre persone a ottenere risultati. Ecco perché…

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Questa è la mia storia di quando ho capito il significato dell’espressione “aiutare altre persone” e perchè ho capito che era la mia strada:

Molti anni fa, ero ancora un ragazzino, frequentavo l’oratorio di quartiere. Era un posto “sicuro”, dato che vivevo in un quartiere di case popolari della periferia di una grande città e, alla mia età, capitava spesso di sentire notizie di ragazzini inguaiati dalla droga o dalla microcriminalità.

In oratorio ci andavo comunque volentieri: potevi divertirti senza problemi, fare sport, frequentare molti amici, insomma, potevi fare tutto ciò che un ragazzino della mia generazione potesse fare al di fuori della scuola in un ambiente “sano”.

In quel periodo cominciai ad appassionarmi al basket; dopo alcune esperienze nel tennis, calcio, karate, nuoto, forse finalmente avevo trovato uno sport che sapeva veramente coinvolgermi e trattenermi. Il tutto con una certa facilità, nel senso che mi riusciva piuttosto semplice l’apprendimento della tecnica di base, anche grazie a un gruppo di amici che avrebbero rivestito un ruolo cruciale nella mia maturazione.

Proprio con loro facevamo interminabili partite, sognando di imitare gli idoli NBA del momento: Dr.J e Magic Johnson.

L’oratorio è un posto aperto a chiunque, non ho mai visto intemperanze – che non fossero i classici scherzi bonari – nei confronti di chicchessia.

Un bel giorno d’inizio estate viene da me il Don, una persona carismatica, di autorità ma sempre cordiale e sorridente e, non ci credevo, voleva un favore da me. Da qualche tempo era arrivato con la sua famiglia da un’altra città Alberto, un ragazzo Down che aveva più o meno la mia età. Alberto voleva imparare a giocare a basket e il Don voleva che fossi io ad insegnarglielo. Perfetto! La cosa mi inorgoglì molto: avrei potuto continuare a divertirmi ma in un modo che non avevo mai provato, anche quando non c’era modo di giocare con gli amici, e che mi piaceva! Accettai con entusiasmo, in fondo era un po’ come fare l’allenatore…

Alberto era un allievo appassionato ed esigente: voleva imparare tutto quello che sapevo: movimenti, tecnica, corsa. L’unica dote naturale che lo potesse minimamente aiutare però era l’altezza; per il resto purtroppo il suo fisico non gli permetteva di fare grandi sforzi, sua madre me lo disse subito, così cercai di puntare sulla tecnica del tiro: in fondo la soddisfazione maggiore che poteva avere era quella di vedere la palla entrare nel canestro! “Ballecanestro!” esclamava ogni volta che ne segnava uno, era un vero spasso vederlo esultare ogni volta e ad ogni realizzazione.

La scelta dello sport (meglio dire attività) da praticare quindi si rivelò azzeccata e Alberto poté iniziare presto a sorridere giocando a “ballecanestro”, come la chiamava lui. Ogni giorno, quando il pomeriggio era più tardo e il sole non batteva più, si presentava al campetto dell’oratorio e mi veniva a cercare per la sua lezione. Ogni giorno, per tutta quella lunga estate avevo il mio spazio con gli amici e uno spazio aggiuntivo con Alberto, dove potevo ripercorrere mentalmente tutto ciò che avevo imparato e insegnarlo a qualcuno che aveva un ardente desiderio di apprendere da me. Non c’era consiglio, movimento, tecnica che Alberto non ripetesse finché non se ne sentiva padrone. Fu una grande soddisfazione vedere i suoi progressi, la sua felicità – che manifestava con abbracci e sorrisi – e quella dei suoi genitori nel vedere il figlio soddisfatto e introdotto in un contesto “normale” nonostante la sua situazione deficitaria.

Quella lunga estate ci portò ad un certo punto a separarci per trascorrere un periodo di vacanza al mare con le famiglie. Trascorsi quindici giorni sereni, tra la campagna ed il mare, ma avevo il pensiero di poter tornare presto a giocare a basket. Ero infatti entrato ufficialmente a far parte della squadra locale, che partecipava ad un torneo regionale agonistico: una squadra vera in una società vera in un campionato vero, e mi ero guadagnato il posto. Il mio morale era alle stelle!

Al rientro dalle vacanze, tra le prime cose che feci, come si può facilmente immaginare, fu tornare all’oratorio, ritrovare tutti i miei amici e iniziare a fantasticare sui grandi risultati che avremmo potuto ottenere giocando assieme.

Ma non vidi Alberto.

Passò qualche giorno senza che ne avessi la benché minima notizia. Finalmente vidi anche il Don e subito gli chiesi che fine avesse fatto e come mai non si vedeva nonostante sapessi per certo che anche lui sarebbe dovuto rientrare dal mare in quegli stessi giorni.

Cominciai a temere che qualcosa fosse andato storto quando intuii dalla sua espressione che mi voleva parlare, ma non davanti a tutti. Così aspettai la fine della giornata e, prima di rientrare a casa all’ora pattuita con i miei genitori, mio presentai in sacrestia, dove il Don stava preparando la messa del Vespro.

“Alberto non è più con noi” mi disse con un’espressione che era triste e serena insieme, “il Signore l’ha chiamato a se e non lo vedrai più. I suoi genitori mi hanno chiesto di informarti e di ringraziarti per tutto quello che hai fatto per lui.

Mi congedò preso dal suo impegno imminente.

Tornando a casa, continuavo a pensare a ogni momento trascorso insieme, ai suoi abbracci e sorrisi, al compiacimento della madre nel vedere il figlio felice.

E continuavo a chiedermi il perché.

Seppi tempo dopo che Alberto era morto a causa di complicazioni cardiache: il suo cuore non era abbastanza forte e aveva ceduto. Non era colpa di nessuno, con lui la natura non era stata così benigna come con la maggior parte delle persone.

Non esisteva un perché logico, non nella mia mente di ragazzino: a quell’età ti senti padrone del mondo e la morte è solo un qualcosa che vedi nei film o che capita alle persone anziane e malate. Alberto era “diverso”, ma per me era un individuo sano e con tutto il diritto di vivere la sua vita. E di vita ne era pieno, era entusiasta, era positivo e appassionato.

Forse Alberto era così perché era cresciuto vivendo al massimo ogni singolo giorno: aveva potuto così sfruttare al meglio ogni esperienza, vivere con intensità ogni emozione, dare e ricevere gratis, con la semplicità di un sorriso.

Non dovremmo essere tutti così? Non dovremmo tutti vivere più intensamente ogni istante della nostra giornata? Non dovremmo tutti desiderare ardentemente qualcosa e dare il massimo di noi stessi per ottenerla, costi quel che costi?

Non ho mai dimenticato Alberto, non potrei davvero farlo.

Tempo dopo, anni dopo, ripensando a quella estate mi resi conto di una cosa importantissima: io avevo insegnato a Alberto a giocare a basket, ma l’insegnamento più importante l’aveva trasmesso lui a me, con la sua passione genuina, con la sua dedizione, con la sua perseveranza, con la sua incoscienza ed il rifiuto di una condizione psico-fisica penalizzata dalla natura che, grazie alla sua grande forza di volontà, gli permisero comunque di ottenere il risultato a cui ambiva.

Ringrazierò sempre Alberto, ovunque egli sia, perché quei valori sono esattamente gli stessi che oggi mi hanno fatto arrivare fin qui.

Questo ricordo di un’estate della mia adolescenza significa molto per me e per la scelta che ho fatto: aiutare altri a ottenere i risultati che stanno cercando è una missione che mi appassiona, l’ho sempre fatto fin da quando ero un ragazzino.

Esistono molti modi per aiutare altre persone a ottenere i loro obiettivi, a realizzare i loro sogni.

Se aiuti le persone a realizzare i loro obiettivi, automaticamente vedrai i tuoi obiettivi realizzarsi.

Per questo ho scelto d fare il Coach!

Per saperne di più: Contattami

Massimiliano

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